Il diavolo del sol levante
- Irene Morselli
- 25 mag 2018
- Tempo di lettura: 6 min

Esiste un racconto di Natalie Babbit, “Il diavolo nella cesta”, che parla di un prete che, trovandosi un diavoletto appena nato davanti alla porta della chiesa, lo avrebbe preso ed allevato come un padre. Ovviamente i fedeli, sconvolti dalla cosa, provarono ad uccidere il prete eretico che venne però salvato dal suo figlioletto demoniaco.
Io personalmente non ho mai letto questo racconto, ma lo consiglio, deve essere davvero carino.
Voglio partire da questa premessa perché la mia storia è simile, anche se cambia completamente il contesto. Io sono Giapponese e sono nato nel 1913, per chi conosce già la storia non sarà una sorpresa sapere che il mio paese in quel periodo era davvero un casino tra dinastie, preparazione alla guerra, strumenti inadeguati, arretratezza economica e tecnologica. Ma devo dire che ci siamo adeguati al resto del mondo davvero in fretta, anche troppo, siamo diventati un paese violento nel giro di pochi anni durante la seconda guerra mondiale.
Ma non è di questo che volevo parlare, io voglio raccontarvi di un monastero buddista nella zona di Kyosan, dove viveva da solo un unico monaco. I suoi colleghi, fratelli, non so come si chiamino tra di loro devo essere sincero, si fermavano raramente, preferendo girare per il mondo a portare la filosofia buddista tra le persone.
Quindi il vecchio Hideo, il cui nome per chi non lo sapesse significa “Splendido uomo”, un nome davvero indicato per lui, si trovava sempre da solo a tener dietro al templio, al grande cortile intorno, ai praticanti ed anche alle arti marziali! Quando un giorno…Arrivai io!
Il diavolo del sol levante
Era una giornata piuttosto fredda per essere solo inizio ottobre, l’autunno aveva già preso il suo grande spazio, gli alberi di ciliegio iniziavano a sfiorire, lasciando spazio ai rami spogli e tristi che caratterizzano l’inverno. Nonostante questo il paesaggio era ricco di colori, arancione, giallo…Beh forse non lo sapete, ma noi giapponesi amiamo le composizioni ed i colori, ogni nostro piatto infatti è caratterizzato in modo che sembri una piccola opera d’arte. Non per nulla siamo i maestri dei cartoni animati e dei fumetti, dai, concedetemelo questo.
Hideo sama quel giorno si stava ripetendo le quattro verità della dottrina buddista, nel piccolo tempio c’era un grande Buddha davanti all’entrata, lo ricordo come fosse oggi. Il giardino era rigoglioso e l’ingresso in legno era semplice. Lui uscì sulla veranda solo dopo essersi sentito anche quel giorno più vicino al raggiungimento del Nirvana, attenzione spoiler, non lo ha mai raggiunto sto benedetto Nirvana.
Lì sulla veranda c’ero io. Oh non pensiate chissà quanti anni avevo, ero nato da circa una settimana. Lo so, è assurdo che io ricordi tutto nel dettaglio pur essendo così piccolo, ma è un dono che ho di natura, non ho idea del perché, non mi è mai servito a niente avere una tale memoria. Tranne nelle ripicche personali e nei patti che ho siglato, ovvio. Hideo sama mi guardò sorpreso mentre io lo fissavo dalla mia cesta intrecciata, sotto una copertina.
“Ma…Come…”
Dovete sapere che non ero affatto un neonato normale, certo, non parlavo, cagavo un sacco, mangiavo ancora di più, sbrodolavo come un bambolotto ad acqua e non camminavo, ma sono nato nella mia forma demoniaca. Quindi in quel momento nella cesta avevo la pelle rossa, le cornina a punta, sono cresciute nel tempo, la codina e le alucce.
Non è così insolito in realtà per noi, si vede che mio padre era nella sua forma demoniaca quando mi hanno concepito, ed essendo io molto potente, sono nato così. Ma di solito sono i nostri genitori a renderci il nostro aspetto normale, togliendoci un po’ di potere. Mia madre doveva essere una semplice umana, probabilmente è per questo che mi ha lasciato al tempio, non la condanno, anche io avrei avuto paura di avere un figlio con le corna. Hideo sama, dopo il primo attimo di smarrimento però, mi prese fuori dalla cesta ridendo.
“Oh questa sì che è una cosa strana!” Io sbattei le ali cercando di prendergli la barba a punta. “Un piccolo miracolo affidato al mio tempio! Anche se messo così non sembri proprio un miracolo, sai?” Io lo guardai confuso. “Dovresti togliere le cornina, ad esempio, e le ali perché no?”
Lo feci. Quando impariamo a trasformarci fin da piccoli sappiamo gestire il nostro potere da subito, ci vuole solo un piccolo sollecito. Il caro Hideo sama rise davvero contento, forse, nonostante sapesse che il fondamento della vita è il dolore, mi ritenne una piccola gioia con cui passare tutto quel solitario tempo.
Va bene, va bene, confesso. Ho una ottima memoria ma non fino al punto di ricordarmi davvero il nostro primo incontro, ma ho contattato il principato del Giappone, Heiji, che mi ha permesso, ma rimanga tra noi perché non si potrebbe, di vedere tutto questo.
La nostra convivenza non fu affatto facile. Io mi trasformavo ogni tre per due, soprattutto quando c’erano persone nel tempio, mi divertivo a far sparire le cose con il mio potere, lo tenevo sveglio tutta la notte e mangiavo come Goku in Dragon Ball. O Naruto in Naruto…O…Va beh, più o meno tutti i main character degli anime migliori.
Però attirai molta più gente al tempio, tutti pensavano che l’apparizione di quel piccolo diavolo fosse un segnale del fatto che erano su una cattiva strada nel loro percorso della volontà, si facevano fare sak yant, tatuaggi che simboleggiano promesse con il diavolo, insomma, se si riesce a rispettare la parola data di evitare un determinato comportamento o peccato, allora non succederà niente, in caso contrario il diavolo te la farà pagare. Per assurdo io ne ho un sacco di tatuaggi di quel tipo. Ne ho la schiena piena, uno sulla pancia e due sul braccio sinistro. E devo dire che ho sempre mantenuto la parola data, anche perché ho fatto promesse facili. Se avessi invece detto che avrei mangiato di meno, oh mi sarei dovuto punire da solo in quanto Signore dei golosi.
Comunque avevo sei anni quando i colleghi di Hideo sama iniziarono a nutrire dubbi su di me. Io li odiavo seriamente, ma adoravo davvero il mio otosan adottivo e volevo che per lui ed il suo tempio ci fossero solo cose buone. Per questo rubavo il riso appena raccolto dalle risaie della zona, le uova, le verdure nei campi.
E glieli portavo sempre mettendoli davanti a Budda, così che non sapesse che ero stato io ma pensasse fossero tutte donazioni.
Purtroppo un giorno mi beccò mentre appoggiavo la cesta. “Mammon! Vergognati, le offerte sono spontanee, non rubate!” Mi guardò serio per poi rabbonirsi subito. “Dai, metti tutto nel cesto che lo restituiamo.” Sbuffai rimettendo nel cesto le cose che stavo appoggiando davanti a Budda. “Tutto!”
“Ok!” Mi tirai fuori le uova da sotto il kimono mettendole anch’esse nel cesto.
“Mammon.”
“Uffa!” Mi svuotai anche le maniche.
“Sei un piccolo ladro, Mammon, devi promettermi di non farlo mai più.”
“Te lo prometto…Quando sarò grande me lo tatuo per primo!” Mi accarezzò la testa, era il massimo di affetto che un maschio giapponese poteva dimostrare a gesti, ma sapevo, e so tutt’ora, quanto bene ci volessimo. Ed ho mantenuto la parola, è il primo tatuaggio che mi sono fatto sulla schiena.
Comunque quando stavamo per riportare tutto ai legittimi proprietari, arrivarono alcuni buddisti del villaggio che avevamo vicino, forse nel 1918 era giusto chiamarlo città, non so, ho dei dubbi a proposito.
“Il diavolo si è preso questo tempio, gli dei ci vogliono punire ed hanno approfittato della tua stupidità, monaco!”
“Oh, ma cosa dite?” Chiese confuso Hideo sama guardando i popolani arrabbiati, mi chiedo per cosa in realtà fossero così nervosi…Forse per le sparizioni legate ai miei piccoli furti.
“Quel bambino è il diavolo, allora che il diavolo se lo porti!” Mi nascosi dietro la gamba di Hideo sama che li guardò davvero serio.
“Mammon è solo un bambino, è dispettoso, ma non cattivo. Non vi ha fatto niente.”
“Quella è la mia gallina!”
Sì, avevo rubato una gallina…Ed una capra! Ma pensavo non sapessero riconoscere una gallina, dai, sono tutte uguali!
“Ladro!”
“Fermi, se volete Mammon dovete prima affrontare me!”
Hideo sama mi voleva davvero bene e vedendo quelle persone aggredirlo mi venne l’idea giusta. Volevano il diavolo? Ed il diavolo avrebbero avuto! Mi trasformai e…Certo, non pensavo che un bambino di cinque anni potesse spaventare a quel punto. Era come se avessero visto Asmodeus nei suoi giorni della rugiada…Cioè nei suoi giorni di incazzo casuale. Urlarono come dei cretini scappando via. Io mi avvicinai al mio otosan adottivo mettendogli le manine su un braccio.
“Stai bene Hideo sama?” Lui rise alzandosi piano da terra e stringendomi a lui.
“Ed io che perdevo tempo!”
“A fare cosa, Hideo sama?”
“A cercare il Nirvana! E ce l’ho qui tra le mie braccia già da cinque anni!”
Sono così grato per il fatto che Hideo sama sia venuto a mancare solo quando io ero già diventato un arcidiavolo, ed ora è tra i saggi ed è il migliore di tutti. Non l’ho mai chiamato “otosan” come ho fatto qui per raccontare la storia, ma lui sapeva di esserlo per me.
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